Da Panama a Cayenne


"via Venezuela, Trinidad, Guyana e Suriname"


Era cominciata con la luna storta. La mattina di Pasqua, 1° aprile, Air France ci fa sapere che causa sciopero dei piloti, il 3 e il 7 il programma dei voli subirà variazioni e cancellazioni.
La nostra partenza? Il 3 aprile.
La speranza che si trattasse di un pesce d'aprile dura l'attimo di una ricerca su Google e qualche ora dopo la conferma: i nostri voli erano tra quelli cancellati. Una lunga battaglia telematica con il servizio assistenza, ma alla fine l'alternativa ottenuta è soddisfacente: a Panama giungeremo un'ora prima di quanto programmato volando con Klm, ovviamente via Amsterdam. E c'è pure il tempo per un giro in centro nella capitale olandese. Di contro la partenza da Blq è anticipata alle 06,00, ma tutto non si può avere.

Una piccola gioia all'arrivo in Centramerica. "Budget" allo stesso prezzo della mini prenotata ci assegna una Hyundai Creta praticamente nuova. A bordo del Suv coreano esploreremo Panama per la seconda volta. L'anno scorso puntammo a nord verso la costa caraibica, stavolta ci spingeremo ad est per raggiungere l'ultimo centro abitato prima della foresta, Yaviza, dove termina la Panamericana. La Pan-American Highway è un sistema di strade di circa 30mila km che collega l'Alaska al Cile, principalmente lungo la costa del Pacifico. Presenta un'unica soluzione di continuità tra Panama e Colombia, voluta per creare una barriera tra sud e centro-nord America, molto gradita ai trafficanti di persone, merci e droga.

Trecento i km da percorrere per raggiungere la nostra meta su una strada con un profilo verticale approssimativo, ma quasi sempre perfettamente pavimentata, sostando in tutte le (poche) piccole città e i villaggi incontrati. C'è un grosso divario a Panama tra la capitale -che è una moderna metropoli, dove si percepisce ad ogni angolo l'odore di riciclaggio di denaro- e il resto del Paese, in gran parte in via di sviluppo; ad est vivono ancora tribù indigene, nei loro villaggi di case di legno, con i tetti in paglia, senza vetri alle finestre. Ne abbiamo visitati molti, di quei villaggi, ricevendo ovunque una calorosa accoglienza. Indimenticabile la visita alla scuola di El Totumo e la nostra magistrale (?!) interpretazione dell'inno di Mameli offerto ai bambini stupefatti.
"Ma da dove sono usciti questi due pazzi?"

La mattina del 7 aprile, dopo aver trascorso l'ultima notte nella capitale, la sveglia suonerà prima del sorgere del sole. Voleremo in Venezuela (e fa cento18!). Poche e confuse le informazioni che si trovano sul Paese.
Vedremo con i nostri occhi.
Alle 13,30 il 737-200 di Avior atterra a Barcelona; controllo passaporti e dogana filano via lisci e i tassisti in attesa sono tutt'altro aggressivi. Buon segno. Quello che sceglieremo sembra rude, ma in realtà è molto pratico e ci condurrà in hotel con rapidità e sicurezza, dispensando validi consigli. Lungo il tragitto una sequenza di opifici e attività commerciali inesorabilmente chiusi; mi colpisce la serie di concessionarie auto in completo stato di abbandono. Pochi mezzi in circolazione. Disordine.

Uno dei problemi principale è che, in Venezuela, adesso, manca il contante. Con l'inflazione alle stelle la moneta locale, il Bolívar, svaluta rapidamente. Al mercato nero un euro si cambia(va) a 300.000 Bolivares, oggi probabilmente a più.
"Hay punto", "Effectivo", "Trasferencia" le tre parole "magiche".
Mancando il contante ("effectivo") qualsiasi bene, compresa una bevanda o, persino, una noce di cocco ai mercatini si paga con carta di credito ("Punto") o, incredibile ma vero, con bonifico immediato ("Trasferencia"). Supermercati desolatamente vuoti, negli ospedali pubblici mancano i medicinali. Eppure il Venezuela è il Paese con le maggiori riserve di petrolio al mondo. Una camera in un hotel di lusso costa un milione e mezzo di Bolivares e dunque, potenzialmente, cinque euro. Ma contanti non se ne trovano e gli alberghi non accettano valuta estera; pagando con carte internazionali il prezzo si alza di dodici volte. I dollari statunitensi, invece, sono ben graditi dalla maggior parte dei punti vendita e dai tassisti e per noi sarà una pacchia.
La prima sera pagheremo dazio alla "Guardia civile Bolivariana", la polizia venezuelana. Coloro che dovrebbero proteggerci sono invece i delinquenti, ma tant'è. Siamo incudine e loro il martello.
L'unico incidente: i venezuelani sono per la maggior parte cordiali, onesti, disponibili e le misure di precauzione adottate ci garantiranno una permanenza tranquilla nel Paese sudamericano. La chiave, come sempre, è fare amicizia con il tassista giusto. Stavolta troviamo Daniel, che ci condurrà da Cumanà a Capurano e il giorno dopo a Güiria. Grazie a lui riusciamo a cambiare in nero "ben" 40 dollari nel garage di un boss (?!) della periferia di Camurano, ricevendo in cambio due buste di banconote. Basteranno quelle -e pochi dollari- per fare i signori i due giorni successivi, in attesa di una barca per Trinidad.
Rotto il ghiaccio, trovate due moto, ci spingeremo fin dove possibile; bella cosa, tra le tante, vedere una piantagione di cacao, aprire un frutto e assaggiare i semi. A Yoko, ricorderanno per sempre (con le mani nei capelli) la nostra esibizione allo Steel-pan.

Il tempo è tiranno e anche il giorno 11 la sveglia suona prima dell'alba per essere al porto di Güiria alle 06,00.
Andiamo ai Caraibi.
Tre ore per un cervellotico controllo passaporti, dogana e imbarco. Causa maltempo sarà un viaggio allucinante e toccheremo terra a Trinidad con un'ora e mezza di ritardo in una località chiamata Cedros, in mezzo al nulla e nel punto più lontano dalla capitale.
Poliziotti di frontiera e doganieri evidentemente non s'aspettavano due italiani da quella barca.

"Chi siete?", "Cosa portate?", "Dove andate?"

Nessuna richiesta di "fiorini", ma è servita tanta, tanta pazienza. Finalmente il timbro. Siamo a Trinidad e anche senza Tobago fa cento19.
Nessun mezzo pubblico in circolazione, niente bancomat o ufficio cambi. La soluzione la troveremo nel giro di qualche minuto notando un taxi nei pressi di un bar. E il tassista che beveva, in assoluta tranquillità, la sua birretta.
"Amico siamo diretti a Port of Spain, ci porti ad una stazione di bus? Prima però ci serve un bancomat..." "No problem men, just let me finish this..."
Non credo fosse la prima birra, a giudicare dalla suo stile di guida. Ma eravamo troppo stanchi per cercare soluzioni alternative. Un viaggio interminabile per le ripetute soste, infine a Point Fortin, una vera città. A quel punto, però, nessuna voglia di prendere un mezzo pubblico per Port of Spain e affitteremo un'auto. ll mare e le spiaggie di Trinidad deludono, ma la foresta a nord è semplicemente affascinante.

Un volo della Caribbean Airlines ci riporterà in Sudamerica, in Guyana (e sono cento20!); l'impatto all'uscita dall'aeroporto di Georgetown è subito negativo per la prepotenza dei tassisti che speravano di fare l'affare con gli unici due bianchi; ma con noi, chiaro, per questi è partita persa e raggiungeremo la città, non senza difficoltà, con mezzi pubblici.
Capolinea in pieno centro, nel caotico mercato principale: sarà subito chiaro a cosa andremo incontro. La gente è, mediamente, particolarmente aggressiva e saremo testimoni di numerose risse. Sperimenteremo anche sulla nostra pelle la loro irruenza e solo per abilità e fortuna schiveremo un assalto la prima notte a Georgetown.
Prese le dovute misure di sicurezza non vivremo altre disavventure, ma, al contrario, scopriremo luoghi affascinanti. Indimenticabile il giro a Wakenaam su un carro trainato da un trattore, sdraiati sui sacchi di noci di cocco.
Un canale divide Guyana e Suriname, la nostra meta successiva, e un solo un traghetto al giorno, alle 8,00, effettua il tragitto. Tante piccole imbarcazioni private fanno la spola da una sponda all'altra, ma non è consentito agli stranieri. Resistiamo alla tentazione di provarci e passeremo la serata a Skeldon, strana città di confine. Che di notte fa davvero paura.

In Suriname, quindi, il mattino successivo e l'ex colonia olandese è il centoventunesimo Stato sovrano in cui metto piede.
Stabbèn!
Qui l'atmosfera e molto più rilassata nonostante le tensioni tra le due principali etnìe (indiana ed africana) che, però, non riguardano gli ospiti stranieri. Con pochi euro avremo a disposizione un appartamento di tre stanze in una zona residenziale di Paramàribo, la capitale, e un'auto a noleggio con la quale visiteremo, tra l'altro, l'affascinanate la diga di Afobakka.

Ma bisogna continuare a correre, il 20 aprile ci aspetta la visita al Centro Spaziale Europeo (ESA) di Kourou. Ancora un canale da attraversare, tra Suriname e Guyana Francese, ma stavolta è possibile utilizzare le barche dei privati. Carrefour e Super U, patiserie e baguette, un pezzo di Francia in Sudamerica. Perché loro hanno (ancora) i piedi in tutti i continenti...
Il Centro spaziale si estende su 700 kmq, in un'area dove vivevano indigeni, costretti ad emigrare, contro voglia, nelle anonime (ma non brutte, devo ammettere) città artificiali costruite dai francesi.
La visita al Centro Spaziale è affascinante, grazie anche alla simpatia e alla pazienza delle due guide pronte a rispondere a tutte le domande, tranne ad una:
"Ma l'uomo sulla luna c'è andato veramente?".
"..."


Gli ultimi tre giorni con una Peugeot 108 presa a nolo, visiteremo a fondo la Guyana francese giungendo fino al confine con il Brasile resistendo, a fatica, alla tentazione di mettere piede nel Paese di Pelè.
Potrebbe bastare così.
E, invece, Air France cancella il mio volo Parigi-Bologna consentendomi di passare una sera nella Ville Lumière a spese della Compagnia. Un selfie con la Torre Eiffel di sfondo, due foto ai ponti sulla Senna, qualche giro sulla Metropolitain e poi basta davvero:
"casa dolce casa".

Quarantotto ore senza guardare il planisfero, poi è già tempo di progettare il prossimo viaggio.