TRE GUYANE E UN VENEZUELA

Per tacer di Panama, e di Trinidad


Era cominciata con la luna storta. La mattina di Pasqua, 1° aprile, Air France ci fa sapere che causa sciopero dei piloti, il 3 e il 7 il programma dei voli subirà variazioni e cancellazioni.
La nostra partenza? Il 3 aprile.
La speranza che si trattasse di un pesce d'aprile dura l'attimo di una ricerca su Google e qualche ora dopo la conferma: i nostri voli erano tra quelli cancellati. Una lunga battaglia telematica con il servizio assistenza, ma alla fine l'alternativa ottenuta è soddisfacente: a Panama giungeremo un'ora prima di quanto programmato volando con Klm, ovviamente via Amsterdam. E c'è pure il tempo per un giro in centro nella capitale olandese. Di contro la partenza da Blq è anticipata alle 06,00, ma tutto non si può avere.

Una piccola gioia all'arrivo in Centramerica. "Budget" allo stesso prezzo della mini prenotata ci assegna una Hyundai Creta praticamente nuova. A bordo del Suv coreano esploreremo Panama per la seconda volta. L'anno scorso puntammo a nord verso la costa caraibica, stavolta ci spingeremo ad est per raggiungere l'ultimo centro abitato prima della foresta, Yaviza, dove termina la Panamericana. Rientrati a Panama City, la mattina del 7 aprile, dopo aver trascorso l'ultima notte in giro per la capitale, la sveglia suonerà prima del sorgere del sole. Voleremo in Venezuela (e fa cento18!). Poche e confuse le informazioni che si trovano sul Paese.
Vedremo con i nostri occhi.
Alle 13,30 il 737-200 di Avior atterra a Barcelona; controllo passaporti e dogana filano via lisci e i tassisti in attesa sono tutt'altro aggressivi. Buon segno. Quello che sceglieremo sembra rude, ma in realtà è molto pratico e ci condurrà in hotel con rapidità e sicurezza, dispensando validi consigli. Lungo il tragitto una sequenza di opifici e attività commerciali inesorabilmente chiusi; mi colpisce la serie di concessionarie auto in completo stato di abbandono. Pochi mezzi in circolazione. Disordine.
Uno dei problemi principale è che, in Venezuela, adesso, manca il contante. Con l'inflazione alle stelle la moneta locale, il Bolívar, svaluta rapidamente. Al mercato nero un euro si cambia(va) a 300.000 Bolivares, oggi probabilmente a più.
"Hay punto", "Effectivo", "Trasferencia" le tre parole "magiche".
Mancando il contante ("effectivo") qualsiasi bene, compresa una bevanda o, persino, una noce di cocco ai mercatini si paga con carta di credito ("Punto") o, incredibile ma vero, con bonifico immediato ("Trasferencia"). Supermercati desolatamente vuoti, negli ospedali pubblici mancano i medicinali. Eppure il Venezuela è il Paese con le maggiori riserve di petrolio al mondo. Una camera in un hotel di lusso costa un milione e mezzo di Bolivares e dunque, potenzialmente, cinque euro. Ma contanti non se ne trovano e gli alberghi non accettano valuta estera; pagando con carte internazionali il prezzo si alza di dodici volte. I dollari statunitensi, invece, sono ben graditi dalla maggior parte dei punti vendita e dai tassisti e per noi sarà una pacchia.
La prima sera pagheremo dazio alla "Guardia civile Bolivariana", la polizia venezuelana. Coloro i quali avrebbero dovuto proteggerci sono invece i delinquenti, ma tant'è. Siamo incudine e loro il martello.
L'unico incidente: i venezuelani sono per la maggior parte cordiali, onesti, disponibili e le misure di precauzione adottate ci garantiranno una permanenza tranquilla nel Paese sudamericano. La chiave, come sempre, è fare amicizia con il tassista giusto. Stavolta troviamo Daniel, che ci condurrà da Cumanà a Carúpano e il giorno dopo a Güiria. Grazie a lui riusciamo a cambiare in nero "ben" 40 dollari nel garage di un boss (?!) della periferia di Carúpano, ricevendo in cambio due buste di banconote. Basteranno quelle -e pochi dollari- per fare i signori i due giorni successivi, in attesa di una barca per Trinidad.
Rotto il ghiaccio, trovate due moto, ci spingeremo fin dove possibile; bella cosa, tra le tante, vedere una piantagione di cacao, aprire un frutto e assaggiare i semi. A Yoko, ricorderanno per sempre (con le mani nei capelli) la nostra esibizione allo Steel-pan.

Il tempo è tiranno e anche il giorno 11 la sveglia suona prima dell'alba per essere al porto di Güiria alle 06,00.
Andiamo ai Caraibi.
Tre ore per un cervellotico controllo passaporti, dogana e imbarco. Causa maltempo sarà un viaggio allucinante e toccheremo terra a Trinidad con un'ora e mezza di ritardo in una località chiamata Cedros, in mezzo al nulla e nel punto più lontano dalla capitale.
Poliziotti di frontiera e doganieri evidentemente non s'aspettavano due italiani da quella barca.

"Chi siete?", "Cosa portate?", "Dove andate?"

Nessuna richiesta di "fiorini", ma è servita tanta, tanta pazienza. Finalmente il timbro. Siamo a Trinidad e anche senza Tobago fa cento19.
Nessun mezzo pubblico in circolazione, niente bancomat o ufficio cambi. La soluzione la troveremo nel giro di qualche minuto notando un taxi nei pressi di un bar. E il tassista che beveva, in assoluta tranquillità, la sua birretta.
"Amico siamo diretti a Port of Spain, ci porti ad una stazione di bus? Prima però ci serve un bancomat..."
"No problem men, just let me finish this..."

Non credo fosse la prima birra, a giudicare dalla suo stile di guida. Ma eravamo troppo stanchi per cercare soluzioni alternative. Un viaggio interminabile per le ripetute soste, infine a Point Fortin, una vera città. A quel punto, però, nessuna voglia di prendere un mezzo pubblico per Port of Spain e affitteremo un'auto. ll mare e le spiaggie di Trinidad deludono, ma la foresta a nord è semplicemente affascinante.

Un volo della Caribbean Airlines ci riporterà in Sudamerica, in Guyana (e sono cento20!); l'impatto all'uscita dall'aeroporto di Georgetown è subito negativo per la prepotenza dei tassisti che speravano di fare l'affare con gli unici due bianchi; ma con noi, chiaro, per questi è partita persa e raggiungeremo la città, non senza difficoltà, con mezzi pubblici.
Capolinea in pieno centro, nel caotico mercato principale: sarà subito chiaro a cosa andremo incontro. La gente è, mediamente, particolarmente aggressiva e saremo testimoni di numerose risse. Sperimenteremo anche sulla nostra pelle la loro irruenza e solo per abilità e fortuna schiveremo un assalto la prima notte a Georgetown.
Prese le dovute misure di sicurezza non vivremo altre disavventure, ma, al contrario, scopriremo luoghi affascinanti. Indimenticabile il giro a Wakenaam su un carro trainato da un trattore, sdraiati sui sacchi di noci di cocco.
Un canale divide Guyana e Suriname, la nostra meta successiva, e un solo traghetto al giorno, alle 8,00, effettua il tragitto. Tante piccole imbarcazioni private fanno la spola da una sponda all'altra, ma non è consentito agli stranieri. Resistiamo alla tentazione di provarci e passeremo la serata a Skeldon, strana città di confine. Che di notte fa davvero paura.

In Suriname, quindi, il mattino successivo e l'ex colonia olandese è il centoventunesimo Stato sovrano in cui metto piede.
Qui l'atmosfera e molto più rilassata nonostante le tensioni tra le due principali etnìe (indiana ed africana) che, però, non riguardano gli ospiti stranieri. Con pochi euro avremo a disposizione un appartamento di tre stanze in una zona residenziale di Paramàribo, la capitale, e un'auto a noleggio con la quale visiteremo, tra l'altro, l'affascinanate diga di Afobakka.
Ma bisogna continuare a correre, il 20 aprile ci aspetta la visita al Centro Spaziale Europeo (ESA) di Kourou. Ancora un canale da attraversare, tra Suriname e Guyana Francese, ma stavolta è possibile utilizzare le barche dei privati. Carrefour e Super U, patiserie e baguette, un pezzo di Francia in Sudamerica. Perché loro hanno (ancora) i piedi in tutti i continenti...
Il Centro spaziale si estende su 700 kmq, in un'area dove vivevano indigeni, costretti ad emigrare, contro voglia, nelle anonime (ma non brutte, devo ammettere) città artificiali costruite dai francesi.
La visita al Centro Spaziale è affascinante, grazie anche alla simpatia e alla pazienza delle due guide pronte a rispondere a tutte le domande, tranne ad una:
"Ma l'uomo sulla luna c'è andato veramente?"

Gli ultimi tre giorni con una Peugeot 108 presa a nolo, visiteremo a fondo la Guyana francese giungendo fino al confine con il Brasile resistendo, a fatica, alla tentazione di mettere piede nel Paese di Pelè.
Potrebbe bastare così.

E, invece, Air France cancella il mio volo Parigi-Bologna consentendomi di passare una sera nella Ville Lumière a spese della Compagnia. Un selfie con la Torre Eiffel di sfondo, due foto ai ponti sulla Senna, qualche giro sulla Metropolitain e poi basta davvero:
"casa dolce casa".






























DA PANAMA A YAVIZA

Dove termina la Panamericana

La prima meta di questo viaggio, Yaviza, dove termina la Panamericana.
"Pan-American Highway", "Ruta panamericana" in spagnolo, indica il tracciato viario che attraverso 13 Paesi Sovrani si estende dall'Alaska al Cile, per oltre 25000 km.
Non è definito con un itinerario unico, piuttosto con un sistema di strade, anche parallele, che si sviluppa principalmente lungo costa pacifica del continente americano; presenta un'unica soluzione di continuità, di un centinaio di km, tra Panama e Colombia,
il "Darién Gap".

Una fitta area forestale dove la fanno da padroni la natura selvaggia e le Forze armate rivoluzionarie colombiane, ma che dal punto di vista strettamente tecnico non presenterebbe problemi particolari; è una discontinuità voluta perché rappresenta
un argine contro l'immigrazione dal sud al centro-nord America, ben vista anche dai trafficanti di persone, merci e droga che imperversano da quelle parti. Se servisse ai loro scopi, gli "esportatori di democrazia" a stelle e strisce impiegherebbero pochi mesi per realizzare il tratto mancante.
Noleggiata un'auto all'aeroporto internazionale di Tocumen immediatamente verso est/sud-est. Trecento 300 km da percorrere fino a Yaviza. Lasciata la città, la strada n°1 diventa a carreggiata unica, con una corsia per senso di marcia, dal profilo longitudinale talvolta approssimativo, ma quasi sempre perfettamente pavimentata. Si incontrano un paio di inevitabili posti di blocco fissi e tanti mezzi della polizia; chi ha qualcosa da nascondere, evidentemente, transita su itinerari paralleli.
Nessun episodio di corruzione durante i frequenti e minuziosi controlli; al contrario abbiamo riscontrato professionalità e cordialità da parte delle forze dell'ordine.



C'è un grosso divario tra la capitale e il resto del Paese, in gran parte in via di sviluppo; ad est vivono ancora tribù indigene, nei loro villaggi di case di legno, con i tetti in paglia, senza vetri alle finestre. Ne abbiamo visitati molti, ricevendo ovunque una calorosa accoglienza.
Prima notte a Chepo, anonima e tranquilla cittadina; il mattino successivo dopo 40 km lo spettacolare Puente Sobre El Bayano: sosta obbligatorio per foto e visita del villaggio. E altre soste ogni qualvolta vedevamo qualcosa di interessante. Senza aver prenotato pensavamo di pernottare la seconda notte a Santa Fé, ma non avevamo trovato alloggi soddisfacenti. A Metetí, invece, nessun posto libero, perché in qui giorni c'era un evento che aveva richiamato studenti da tutto il Paese. Ma ormai eravamo a soli 30 km dalla meta...
Un cartello in legno, sfondo perfetto per una foto ricordo, segnala che l'Alaska dista 12580 km: in quel punto termina il tratto settentrionale della Panamericana.
Siamo a Yaviza!
Una piccola e all'apparenza tranquilla cittadina che si sviluppa principalmente sulla sponda occidentale del fiume Chucunaque.
E quel corso d'acqua rappresenta la barriera fisica tra centro-nord e sudamerica; solo un ponte pedonale porta dall'altra parte.
Le auto, ne abbiamo viste poche, possono arrivarci solo con mezzi marittimi adibiti al trasporto di veicoli. Ci vive una popolazione cortese, ma che allo stesso tempo guarda con la giusta dose di diffidenza lo straniero. Sono abituati a vedere di tutto da quelle parti. Immediatamente sottoposti a rigoroso controllo di polizia, non abbiamo sperimentato alcun genere di fastidio o pericolo durante l'intera permanenza.
Due giorni intensissimi, in giro per la provincia, ricevendo ovunque una calorosa accoglienza. Indimenticabile la visita alla scuola di El Totumo con la nostra magistrale (?!) interpretazione dell'inno di Mameli offerto ai bambini stupefatti.
"Ma chi sono questi due pazzi?"



Il 7 aprile rientro Panama City, non prima di un'escursione in barca per La Palma, e il giorno dopo volavamo in Venezuela.








STEEL PAN

I tamburi di Trinidad&Tobago

Steel pan è lo strumento a percussione originario di Trinidad e Tobago,
lo stato insulare più meridionale dei Caraibi.
E' ricavato dai bidoni metallici di petrolio da 55 galloni (200 e passa litri), opportunamente modificati con cavità di varie dimensioni.
Suonato con robuste bacchette di varie forme, è in grado di produrre qualsiasi sonorità musicale venga in mente.
Ho scoperto lo Steel Pan in Venezuela, in una scuola di Yoko, cittadina a pochi km dalla costa orientale del Paese, di fronte alla quale è situata Trinidad.











DAL VENEZUELA a TRINIDAD

La folle traversata nell'Atlantico da Guiria a Cedros

Confinano per quasi 500 km, ma per diatribe politiche Venezuela e Guyana non condividono valichi di frontiera: i primi rivendicano un'ampia fascia di territorio appartenente alla seconda. Non esistono collegamenti marittimi, né voli diretti tra i due Paesi. Via terra si deve attraversare il Brasile; in aereo, ovviamente, più alternative, ad esempio via Trinidad&Tobago. Ma per Trinidad, l'isola più a sud dei Caraibi, che si trova di fronte alla costa nord occidentale del Venezuela, dall'altra parte del Golfo Paria, pare ci siano anche collegamenti marittimi in partenza dal porto di Güiria. La grave crisi che attanaglia il Paese, tuttavia, rende tale servizio irregolare e inaffidabile. Impossibile ricavare notizie attendibili in rete, nessuna risposta alle decine di mail inviate; nemmeno un conoscente venezuelano riesce a fornirci informazioni precise.
Che si fa?
Andremo a Güiria e, se un modo c'è, lo troveremo. Altrimenti percorreremo i 2000 km via terra fino a Georgetown, la Capitale della Guyana, passando per il Brasile.

BUON VIAGGIO&BUONA FORTUNA

Da Panama, l'ingresso in Venezuela a Valencia con un volo Avior, compagnia privata venezuelana. Poi a Barcellona con lo stesso aeromobile (uno sgangherato 737-200) e prima notte a Puerto La Cruz. La fortuna ci riconosce anche stavolta e si materializza in Daniel, un poliziotto dell'antidroga che come secondo mestiere fa il tassista. O viceversa. Un tipo geniale che ci condurrà con affidabilità e in assoluta sicurezza -a tappe: Cumaná, Carúpano- fino alla meta, Güiria dispensando una valanga di utilissimi (e indispendabili) "tips". Conosceremo sua moglie, e alcuni dei figli sparsi nelle case delle sue amanti; nella sua città, Carúpano, ci scorterà in un garage di periferia per cambiare in nero pochi dollari ricavando una montagna di valuta locale, altrimenti introvabile.



A Güiria arriviamo all'ora di pranzo del 9 aprile, lunedì, ed immediatamente ci mettiamo alla caccia di una barca per Trinidad.
"Sembra" -ci dicono in città- "che ne parta una il mercoledì"
"Questo mercoledì, oppure ogni settimana?".
Non sanno risponderci.
"Da dove parte?"
Dal Porto, certo. Ma l'aerea portuale è immensa, rispetto alle dimensioni della città (40mila abitanti circa) La lunga ed articolata ricerca alla fine porta i suoi frutti. Ci invitano a bussare ad una porta al pian terreno della hall di un edificio accanto alla dogana.
"Permesso..."
Due ragazzi ed una ragazza -Eva, molto carina e molto spigliata- lavorano alacremente dietro le loro scrivanie: è l'ufficio della compagnia di navigazione (?) che TUTTI i mercoledì, condizioni del mare permettendo, effettua la tratta Güiria-Port Of Spain, la Capitale di Trinidad&Tobago.

"Here we are!". "Ce l'abbiamo fatta!!!"

Ci accolgono con sorrisi e cortesia, professionalità ed efficienza. Ma anche, ovviamente, con stupore: "turisti", lì, non ne vedono da anni, men che mai con l'obiettivo di navigare per Trinidad...
"Ma chi ci viaggia, allora, su questa nave?" Nave è una parola grossa, e lo scopriremo il giorno della partenza. E' il mezzo utilizzato dai venezuelani per andar via dal loro meraviglioso, ma infelice Paese.

"Ce so du posti pe noi?", con la certezza di ottenere risposta affermativa.
"No, solo uno "
"..."
"Due posti saranno disponibili il 25..."

Eva percepisce il nostro disagio e ci invita ad attendere. Scorre la lista dei passeggeri del prossimo viaggio, si attacca al telefono e poi ci dice di ritornare l'indomani:
"Forse ho trovato la soluzione"
Sono questi i casi in cui è opportuno non fare domande, ma non resisto.
"E quale sarebbe questa soluzione?"
"La colombiana la spostiamo il 24" "La colombiana....?"
Meglio non indagare oltre, per carità.

Ci godiamo la splendida Güiria, senza mai perdere l'ottimismo:
"Vedrai che un altro posto lo troveranno, ma ce lo faranno pagare il
triplo con una scusa"
"Oh, male che va i 2000 km via terra saranno affascinanti..."
Il mattino dopo la notizia è buona: si è liberato anche un secondo posto e, sorpresa, nessun prezzo "speciale". Cento euro a capoccia, proprio come per gli altri passeggeri.
"Partenza alle 8,00."
"Ma alle 6,00 al Porto per i controlli".

L'ultimo giorno, il 10 aprile, complice l'euforia del successo, "scioglieremo le briglie" riducendo all'essenziale le precauzioni messe in atto fino a quel momento (il Venezuela è un Paese davvero pericoloso al giorno d'oggi) ed esagereremo.
Con le moto dei due tassisti conosciuti il primo giorno ci spingeremo fino alla estrema punta occidentale, anche oltre il lecito, su strade sterrate; in pomeriggio ci dirigeremo dalla parte opposta, in mezzo alla foresta, trascorrendo alcune ore con una famiglia di contadini nella loro piantagione di cacao. Quella regione meriterebbe almeno una settimana, ma il tempo è tiranno.
E dunque, mercoledì 11 aprile, sveglia alle 5,15, per essere al porto alle 06,00. Comincia una lunga procedura per il controllo dei documenti e dei bagagli ripetuta inutilmente tre volte. Ma l'atmosfera è piacevole. C'è pure il buffet offerto dalla compagnia di navigazione. Infine a bordo, si parte davvero.

Riuscirà quel piccolo scafo da 30 posti ad effettuare la traversata?

Pochi istanti dopo aver lasciato il porto una voce mi fa tornare in mente una delle scene chiave di "Cassandra crossing"
"Questa barca non sta andando dove credete voi..."
Nel film di Cosmatos era un treno, certo. Ma, soprattutto, -e per fortuna- stavolta non c'è alcun motivo misterioso. Raggiungeremo Trinidad a Cedros, percorrendo il tragitto più breve, a causa delle avverse condizioni meteo.
Ma per un attimo si era gelato il sangue...

Il viaggio, nel complesso è relativamente confortevole, tutti i posti occupati ma spazio a sufficenza. Un (altro) brivido quando nel bel mezzo della traversata uno strano rumore causa l'arresto improvviso dell'imbarcazione. Niente di rotto, ma pare che l'elica abbia catturato un oggetto di plastica che ne rallenta il movimento. Imprevisto risolto rapidamente dagli abili marinai e la corsa può riprendere spedita, senza ulteriori imprevisti.

Alle 12,30 tocchiamo terra nella provincia di Cedros, Repubblica di Trinidad&Tobago
(il 119esimo in cui metto piede), sani e salvi. ma non è finita: comincia una cervellotica pantomima al controllo passaporti e dogana e solo dopo oltre un'ora dopo saremo in strada, nel bel mezzo del nulla, a 150 km dalla Capitale Port Of Spain e 30 dalla prima città, Point Fortin.
Non ci sono mezzi pubblici, non c'è un bancomat, poca gente in giro, tutt'altro che ospitale.
Ma basteranno pochi minuti per trovare comunque la soluzione.